My six convicts

My six convicts

appunti

Altro capolavoro di Fregonese. Un solido film di genere sulla riabilitazione dei detenuti ma niente affatto scontato e, soprattutto, che cerca di mostrare (riuscendoci, secondo me) il clima della prigione. Finale debole (banale, retorico e implausibile) ma il resto è meraviglia.

SCHEDA FILM

Questo magnifico Seme della violenza ambientato in un carcere dove un dottore idealista usa la psicologia moderna per aiutare i detenuti è tratto da un libro autobiografico di Donald Powell Wilson. I diritti furono acquistati dal produttore Stanley Kramer, noto per il sensazionalismo, i grandi ‘messaggi’ e le storie prolisse, ma Fregonese spogliò il materiale di ogni pretesa e pomposità, facendo prevalere il suo lato malinconico. Fece dei detenuti, e non del dottore e della sua missione, l’oggetto principale dell’empatia, rivelando in questo modo uno dei suoi talenti sottovalutati: la capacità di plasmare gli attori fino a farli corrispondere ai personaggi interpretati. Chi altro avrebbe potuto trasformare un attore di serie B come John Beal facendolo risplendere di una fragilità nervosa degna di Dirk Bogarde? L’approccio visivo affonda le radici nel precedente film carcerario di Fregonese, Apenas un delincuente: il regista gira nuovamente in location reali (in questo caso nel penitenziario di San Quintino, usando vere guardie come comparse) e ricorre alla voce fuori campo. Questa volta però si dimostra più giocoso: oltre a una scena interamente muta, accompagnata solo dalla musica (che Dimitri Tiomkin comunque travisa completamente), mostra un flashback dal punto di vista del personaggio interpretato da Millard Mitchell, dove i dialoghi di tutti gli altri personaggi sono doppiati dalla sua stessa voce, con un effetto che ricorda Le Roman d’un tricheur (Il romanzo di un baro, 1936) di Sacha Guitry. Lo spazio sorvegliato del carcere diventa una metafora della regia: ciascun elemento è controllato da Fregonese, soprattutto nella composizione a mosaico che esprime la violenza intrinseca dei luoghi di reclusione – con angoli inclinati, grandi spazi vuoti ed elementi ripetuti in molte inquadrature, come le valvole e i tubi di dimensioni industriali che erodono ogni possibile sensazione di comfort e di appartenenza. Per contro, l’inquadratura di gruppo dei ‘sei forzati’ ha spesso la veridicità di un dipinto rinascimentale, con gesti che indicano consapevolezza e sguardi puntati su una verità più grande situata al di fuori dell’inquadratura. C’è anche un uso sistematico della prospettiva centrale, a significare la futilità di ciò che appare in primo piano. Alla fine, quando il dottore viene mostrato in questo modo, mentre si allontana a piedi dalla prigione, il film respinge ogni possibilità di ravvedimento in un simile spazio, ma ha già promosso un più essenziale senso di umanità.

Ehsan Khoshbakht

CAST AND CREDITS dal libro My Six Convicts: A Psychologist’s Three Years in Fort Leavenworth (1951) di Donald Powell Wilson. Scen.: Michael Blankfort. F.: Guy Roe. M.: Gene Havlick. Scgf.: Rudolph Sternad, Edward Ilou. Mus.: Dimitri Tiomkin. Int.: Millard Mitchell (James Connie), Gilbert Roland (Punch Pinero), John Beal (Dr. ‘Doc’ Wilson), Marshall Thompson (Blivens Scott), Christopher Kent (Clem Randall), Henry Morgan (Dawson), Jay Adler (Steve Kopac), Regis Toomey (Dr. Gordon). Prod.: Stanley Kramer Co., Inc. 35mm. D.: 104’.

IN BREVE Titolo Italiano I miei sei forzati Regia: Hugo Fregonese Anno: 1952 Paese: USA Durata: 104' Versione del film Versione inglese

Audio Sonoro Edizione 2022 Sezione HUGO FREGONESE, IL VAGABONDO